riesco meglio ad affogare

E se staccano la mano che mi regge dalla pancia la paura è tanta,non mi sento ancora pronto.

venerdì 15 gennaio 2010

ed assomiglio ai muri che trattengono i rumori


Matilda ascoltando quella canzone aveva un’immagine fissa nella sua testa. Si vedeva sempre intenta a raccogliersi con un cucchiaio come se stesse affondando in un immensa tazza di latte. Con tanto di cereali,forse. E quella era l’unica via di salvezza,l’unico modo per non affondare. E nonostante lo zucchero versato nella ciotola il naufragar non era affatto dolce in quel mar. Come potesse esserle tornato in mente tutto ciò quella mattina quasi lo ignorava. Probabilmente erano state le parole di Joey la sera prima ad averle rievocato tutto ciò. Le mattinate erano sempre eterne,intervallate sempre da eterni viaggi mentali. Quel giorno voleva ritrovarsi immediatamente a Parigi,voleva vedere il centre Pompidou. Mai era stata interessata a un posto simile,finché non aveva scoperto che al suo interno vi era un museo d’arte moderna. Per un attimo si era ritrovata lì dentro come per magia. Avrebbe chiesto al protagonista del nulla dei Baustelle di portarla via con se.
“Sai di caffé di Parigi,portami via con te.”
Sarebbe finita in qualche bar della rive gauche a fingersi una radical chic.
Per poi ritornare alla realtà e ritrovarsi ad ascoltare le lezioni di vita di Etty Hillesum,che in fondo non era poi così diversa da lei. Certo lei non avrebbe mai patito i mali del campo di concentramento,ma invidiava la capacità di Etty di riuscire a condurre la sua vita nel migliore dei modi che lei potesse desiderare. Aveva lasciato anche un segno tangibile del suo passaggio nel mondo,poi. Cos’altro avrebbe dovuto chiedere? Vivere in eterno una vita spregevole? L’unica cosa che l’aveva angosciata alquanto era il pensare che in qualche modo le fosse subito venuto in mente Kurt Cobain e Luigi Tenco in tutto ciò. E che forse per lei tutto quel dolore fosse quasi stata una manna dal cielo,per non dover condurre un’esistenza triste e priva di scopo. Un po’ come quei due grandissimi geni avevano detto addio al mondo dopo aver lasciato un segno immane di se stessi. Forse anche lei desiderava una fine gloriosa,una fine felice avvolta in un lenzuolo quasi come gli eroi,per evitarsi la paura di arrugginire. Perché alla fine nemmeno Luigi ci credeva quando cantava Vedrai vedrai,vedrai che cambierà,forse non sarà domani ma un bel giorno cambierà…
Fu però ridendo alla morte del padre di Pascoli che si rese conto di esser cinica. Non che la cosa le facesse ridere,affatto. Solo le sembrava una tavoletta qualunque. In verità stava pensando ai fatti suoi,ma la cosa la lasciava altresì allibita. Di solito era sempre emozionata all’idea di seguire lezioni di letteratura. Solo che quel giorno un altro pensiero le scavava il cervello. La paura di restare sola come quell’ aratro in mezzo alla maggese. E non sarebbe mai stata più domenica.

Intanto io desideravo alla follia un bouquet di viole come un vero cantante tra le nuvole.
Desideravo riuscire a vedere il mondo in chiave estetica. Volevo prendere il posto di mio padre,non il mio vero padre,ma l’uomo che mi aveva insegnato tutto,ucciso in un sogno precedente.
Volevo una foto che richiamasse subito alla mente la sua tanto amata Bouquet.
E pensavo al contempo che saremmo passati di moda anche noi. E intanto stavo sotto la neve fuori al freddo per non disturbare gli alcolisti che bevevano in stazione. Non credevo di purificarmi,temevo solo di ammalarmi. Sembravano ormai duemila anni che non vedevo più i miei amici. Forse ero io che non uscivo più di casa.

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