riesco meglio ad affogare

E se staccano la mano che mi regge dalla pancia la paura è tanta,non mi sento ancora pronto.

mercoledì 19 maggio 2010

rinunciare è un fatto di abitudine



C’è una specie di luminosità nel suo sguardo stamattina.
Si vede da come è entrato in ufficio, da come ha centrato l’attaccapanni con la giacca
e da come mi ha salutato unendo pollice e indice e alzandoli alla bocca per invitarmi a prendere il caffè.
Mentre lavoriamo, ogni tanto si tocca il gesso e non può fare a meno di sorridere.
Mi avvicino e fingo di leggere il comunicato che ha davanti:
una piccola scritta storta spicca sulla piega bianca dell’ingessatura.


Il numero di una donna,chiunque lo avrebbe pensato. Una affettuosa e giovane infermiera conosciuta in ospedale durante una delle tipiche eterne attese per una visita di routine.
Il suo braccio malconcio,l’ovvia causa di tutto. Una cosa così consuetudinaria da non darci nemmeno più importanza,il povero menomato,da tutti conosciuto come L.
Livio,ad esser sinceri,sarebbe il suo nome di battesimo.
Ma L. fa più giovane,si ostina a ripetere,lui che di anni ne ha poi “solo” trentacinque.
“Solo” perché non è più un ragazzino,un adolescente,seppur i “giovani” di questi tempi non vanno via di casa fino a quando non son laureati,si ostinano a ripetere televisioni e giornali.
Mammoni ma ancora ragazzini.
Non ancora pronti ad abbandonare i periodi trascorsi con gli ormoni in fermento,addensandosi qualche responsabilità.
“Solo” perché alla sua età un certo Dante passato alla storia in questo suo paese sette secoli prima era ancora pronto ad affrontare un viaggio tra inferno e paradiso,nel mezzo del cammin di nostra vita.
“Solo” perché distante un’eternità dalle vite bibliche di Matusalemme & figli,in puro stile negozio di alimentari.
Dunque il giovane non più giovane Livio detto signor L. aveva questa scritta sul braccio.
Sarei pronta a mettere una mano sul fuoco,tanto è vero che il mio nome è Matilda,tutti i colleghi avrebbero attribuito all’opera di una infermiera conosciuta in ospedale.
Tipica scena da fiction della Rai,di quelle che ogni sera si ostina a guardare l’italiano medio,seppur sempre uguali nella trama e mutevoli solo in ambientazioni o personaggi.
Una visione qualunque di un qualche scontato film americano. Di quelli che il regista ha sicuramente investito più energie per assoldare l’attore famoso o la bella attrice che faccia presa sul pubblico come cemento per l’edilizia. Sicuramente più che su un abile sceneggiatore.
Tutti,tranne io.
Probabilmente poiché ero l’unica a conoscerlo veramente in quel locale.
Quel posto maledetto dove tutti entravano con le occhiaie sotto agli occhi,lo sguardo perso dal sonno,lo stress portato a braccetto da quando son scesi dal letto,benedicendo il nuovo giorno con una bestemmia contro la sveglia che anche oggi decide di non star zitta.
Un’imprecazione al dio che li ha preservati tutta notte,semi ignudi hanno abbandonato un letto un po’ troppo grande lasciato vuoto dal solito amore andato male.
Versarsi il latte in una scodella coloratissima e sorridente,l’ennesima presa per il culo del discount dietro l’angolo.
La caffettiera ovviamente vuota e da ripulire,la macchinetta rotta da mesi fa parte del mobilio.
Il microonde che emana radiazioni essendo insufficiente il monossido di carbonio nell’aria.
Il pacchetto di sigarette vuoto e l’accendino perso chissadove.
Il posacenere pieno che rende fetida tutta la casa. La mattina,diceva un tale,ha l’oro in bocca.
Un altro sosteneva che il buon giorno si vede dal mattino,invece.
Morgan semplicemente diceva che si svegliava col piede sinistro,quello giusto.
Alla fine aveva ragione lui.
Otto ore davanti a un pc sei giorni la settimana annienterebbero chiunque,anche questo va ammesso.
Ma lui quell’oggi era felice,ed io soltanto sapevo il perché.
Avrei potuto farlo sapere a tutti,al mondo intero,ma ero sicura avrebbe distrutto tutta quella magia che si era creata intorno a lui.

giovedì 13 maggio 2010

scrivere sui banchi di scuola non ti rende Rimbaud

E fu così che si rese conto che alla fine la felicità doveva essere una di quelle cose per cui o ci sei portato oppure nulla,un pò come dipingere,un pò come disegnare,un pò come saper indossare un abito elegante con classe,o ci sei portato o è inutile sperare di aver successo.
E lui non era portato per una cosa simile,ma proprio per nulla.


E poi mi sta sul cazzo sta cosa che i matematici risolvono i loro problemi pieni di dati numerici e se ottengono qualche risultato utile sono felici ed esultano come se avessero fatto chissaché,ma alla fine moriranno lo stesso anche loro,e i problemi esistenziali non son riusciti a risolverli,e si sono nascosti solo dietro a una scienza esatta che non può dare delusioni,perché tutto ciò che fanno o è giusto o è sbagliato,nessuna via di mezzo,nessun imprevisto,nulla di mutevole.
Semplicemente han paura di vivere e di fare delle scelte,magari sbagliate,più di ogni altro.
Allora tanto vale nascondersi dietro i loro calcoli,che sono giusti oppure son sbagliati.
E basta.

giovedì 6 maggio 2010

di quei concorsi persi in partenza

Caterina dice che aspetta ogni mercoledì a partire dal mercoledì sera. Che è il suo piccolo momento di piacere.
Io non mi faccio illusioni, però: dice tante cose.
Quando arrivo ha già messo al loro posto i pezzi sulla scacchiera e i cuscini, visto che giochiamo sul pavimento
e ogni partita dura un’ora o più.
“Non tocca a me il nero” faccio, come ogni volta.
“Si invece” dice lei, accarezzando i suoi pedoni bianchi come se fossero un piccolo esercito del bene.


Alla fine io cedo sempre. Non riesco a essere così cattivo da rovinarle quei suoi piccoli momenti di letizia settimanale che intermezzano la monotonia di giornate sempre troppo lunghe e uguali. Nella mia testa balena un pensiero costante,in fondo ne ha così bisogno. Vorrei riuscire ad esser come lei,alle volte. Anche se ha dovuto vivere momenti difficili è sempre riuscita a risollevarsi. Un po’ come quelle pedine che ogni mercoledì cadono eroicamente in battaglia e dopo sette giorni son pronte a risuscitare. Quasi come quel Gesù Cristo tanto venerato dalle sue parti,solo con quattro giorni di ritardo. Io invece anche oggi indosso la mia solita maschera da musone,che mi calza a pennello ormai da troppo tempo,e da troppo tempo mi ostino a portare con me. Alle volte mi sembra che abbia paura di perderla,di metterla da parte e poi dimenticarla come un bambino farebbe con un suo giocattolo nuovo. Sarà perché sin da quando sono piccolo preferisco sradicarli i fiori anziché ammirarli e sentirne il profumo. Sarà perché divoro i libri per giungere immediatamente alla fine anziché recepirne l’essenza. Sarà perché la musica preferisco usarla per trapanarmi i timpani anziché rilassarmi. Sarà che penso più ai bagagli che alle esperienze che mi lasciano i viaggi. E finisco così per cercare la vittoria in queste nostre partite a scacchi anziché sorridere di fronte a noi,così posati e rilassati,tanto belli da esser invidiabili come soggetti di un quadro di un buon pittore impressionista.

domenica 2 maggio 2010

Torino trema


la gente in festa solo per il papa,
le mie paure di ingrassare e le fissazioni per gli addominali
ubriachi ogni week-end per vedere il mondo migliore
zaini troppo pesanti per spalle troppo fragili e storte,dicono in nome della cultura
pressoché inesistente in un paese dove il cristianesimo vince pure sulla politica.
maturità su fogli di carta e mancanza totale di un futuro.
precarietà e studi svogliati.
notti insonni e pomeriggi soporiferi intermezzati da ansiolitici naturali
il cui nome stimola ilarità di fronte al medico che li prescrive
disprezzamenti di donne che non sono alla nostra portata e fiumi di birra scadente
accompagnata da hamburger salvaeuro del Mc Donald's.
SOLO LE TUE LETTERE A RENDERMI FELICE.
solo la mancanza di un luogo dove scampare all'anonimia di serate sempre uguali.
nemmeno la capacità di proteggerci dalle minacce di psicopatici fermi alle stazioni.
nemmeno la grazia di sfuggire a schiaffi in nome di un mio razzismo dilagante
a me totalmente sconosciuto
non c'è soluzione,semplicemente,Monsieur.
come direbbe un bambino,tutto è sbagliato.
vorrei solo trovare una persona che mi insegnasse a volermi bene.