riesco meglio ad affogare

E se staccano la mano che mi regge dalla pancia la paura è tanta,non mi sento ancora pronto.

giovedì 23 dicembre 2010

quando un cielo stellato sul soffitto della propria camera ha ragione d'esistere.


E' la resa signor capitano. Questa è la resa. Stiamo abbandonando il campo di battaglia. Bandiera bianca.
Per noi la guerra è finita. Non prenda questo gesto come una sconfitta. Ci stiamo solo arrendendo a un'impresa insormontabile. Vogliamo solo tornare a casa. Abbiamo mogli e figlie ad aspettarci. Io ho abbandonato la piccola Dorotea,sarà cresciuta,a breve dovrò trovarle un buon marito che sappia prendersi cura di lei. I campi esigono cure da parte nostra. Vogliamo sentire i profumi di casa,la cucina che emana odore di carne sul fuoco e verdure stufate. Vogliamo riabbracciare le nostre donne,sentire la loro pelle vellutata sulle nostre labbra,farci l'amore come se fosse la prima volta,perché sarà la prima volta dopo tutto questo tempo passato in terra straniera. Non si offenda capitano,le sarà dato il giusto onore,sarà da noi ricordato come un valoroso condottiero,avrà il suo trionfo ritornati a casa. Nessuno oserà guardarla con disprezzo senza incorrere nella nostra ira,nel nostro rifiuto di un simile e inaccettabile comportamento.
Solo che siamo castelli di carte. Siamo fragili. Basta un soffio di vento per riuscire ad abbatterci. Potremmo morire con maggior facilità rispetto alle stragi causate da un banale raffreddore contro gli Indios in America. Abbiamo equilibri interiori troppo precari. Basta un nulla per spezzar tutto dentro. Come la goccia che fa traboccare il vaso. Una semplice goccia,come ne esistono a milioni,dentro il vaso. Come infinite se ne trovano in natura,negli oceani desolati. Una goccia,solo una,e tutto dentro si distrugge come un uragano su capanne di paglia,come un terremoto in una favela. Scusi capitano,ma noi vogliamo soltanto sopravvivere.
Tornare a casa. Rivedere ancora una volta i nostri figli. La nostra terra,i nostri averi. Rivivere i luoghi della nostra infanzia. Della nostra adolescenza. Quella gioia e quella spensieratezza che mai più troveremo.
Vogliamo invecchiare e diventare saggi,oppure amorevoli nonni e tener sulle nostre ginocchia i nostri nipotini,per poi spegnerci in una notte d'inverno su una sedia a dondolo davanti al caminetto,mentre fuori nevica ,scaldati dal calore parentale. Noi vogliamo solo salvarci,capitano. Perché comunque vada a finire di qui non si esce vivi. O perlomeno integri. Ma noi vogliamo salvarci. Non vogliamo morire in terra straniera. Provi a immedesimarsi nel nostro punto di vista. Anche lei avrà sicuramente moglie o figli ad aspettarla a casa. Anche lei avrà abbandonato qualcosa per venire qui. Cerchi di cancellare quella sete di gloria che le annebbia la vista. Cerchi di capire ciò che le stiamo chiedendo. Noi la amiamo come un fratello,continueremo ad amarla come un fratello,ma ora vogliamo salvarci,più di ogni altra cosa,perché la fine è ormai vicina. La sentiamo bussare ogni notte nei nostri cuori,nelle nostre tende. Giungere da questi boschi tenebrosi e ignoti,pieni di storie e riti mai ascoltati dalle nostre orecchie. Streghe e folletti da noi mai affrontati. Spaventosi. Terrificanti. Torniamo alle navi,torniamo a casa. La guerra è finita. La guerra è finita.

Capire il loro punto di vista,come potrei non averci pensato prima? In fondo sono il loro capitano. Ho il potere sui miei uomini,ma non per questo devo ignorare le loro richieste. Il loro punto di vista. Il problema è che io non conosco il loro punto di vista. Li ho spinti a una missione in cui nemmeno io credevo,l'istinto romantico della guerra,oserei chiamarlo. Quell'idea di compiere qualcosa di tremendamente virile e profondo,che dia un senso alla mia esistenza troppo vuota di significati. Venire a combattere contro un popolo che non conosco nemmeno lontanamente,senza un valido pretesto,appoggiato da uomini valorosi e fedeli,amici,fratelli,decisi a seguirmi nelle scelte anche più avventate,nessuno che abbia pensato di dirmi che forse avrei potuto aver avuto un abbaglio,erano fiduciosi di me,pendevano dalle mie labbra. Credevano in me quando promettevo loro tesori enormi e paradisi terrestri,li rendevo artefici di una giustizia divina troppo umana,li innalzavo al pari degli dei portatori di una falsa giustizia presso popoli ignoti e non desiderosi di tormento. Tutto questo per trovare la mia pace interiore. Per riempire i vuoti lasciati dalle mie giornate troppo uguali,l'una all'altra. E loro mi son sempre stati fedeli,ed anche ora che ritengono di aver raggiunto un punto eccessivo,lo dicono con il sorriso sulle labbra,con la gioia nel cuore,come se si rivolgessero a un fratello,a un amico e non a qualcuno che li ha condotti al patibolo pur di poter provare una qualsiasi emozione. Il problema è che io son più fragile di tutti loro. Foglia morta caduta da un albero in autunno e mossa dal vento senza poter prestare opposizione. Mosso così dai vari stimoli che manipolano la mia vita,senza esser in grado di prenderne il controllo,come un auriga che tenta invano di comandare un cavallo imbizzarrito sfuggito ormai al suo controllo. Li ho portati fin qui a morire la morte dello spirito,prima ancora della morte delle carni,in terra straniera,lontano da casa,dai loro averi e dai loro cari,solo perché a me non è destata simile fortuna. Solo perché ho deciso di creare il vuoto intorno a me. Solo perché io mi vanto di essere morto. Solo perché io non ho mai amato nessuno. Perché tutti i miei uomini hanno lasciato il loro cuore da qualche parte,chi a casa,chi in qualche osteria o locanda di passaggio,chi in qualche bettola sporca e maleodorante di piscio e segatura. Ma io,capitano di questa comitiva,non credevo di avuto questo onore,e per invidia o per rabbia ho deciso di vendicarmi in questo modo,con questa guerra inutile e priva di significato. Solo per far soffrire gli amici che mi hanno accompagnato,per far capire loro cosa voglia dire provare la mancanza di qualcosa,seppur la mancanza di qualcosa mai avuto non può esser paragonata ad una privazione. Ho dovuto viaggiare chilometri e chilometri per approdare in terre straniere,fiducioso che i miei demoni non mi avrebbero seguito,invano,per comprendere che il collante di tutto risiedeva in me. Ma ora è come realizzare che così non è. Come svegliarsi da un brutto incubo e capire che tutto era solo stato immaginato,sognato. Penso che ora tutto mi è chiaro,seguirò gli ordini dei miei uomini,non darò peso al poter passare per codardo una volta tornato a casa. La prendano per una fuga,se vogliono. Io penso solo che il mio sia solo un voler ritornare a vivere. O perlomeno sopravvivere. O perlomeno salvarsi,in qualche modo. Perché la guerra è finita,insistono a dire i miei uomini. Perché la guerra è finita,la guerra è finita.

2 commenti: